mercoledì 2 settembre 2015

Permanenza ad Aliano agosto 2015

Terre di Lucania, terre di contadini, appartenenti solo a loro, di diritto, legittimate dai sacrifici, dalle fatiche, dalla testardaggine, dalla costanza. Sì, perché le terre della Lucania interna, quelle che da Tursi ti accompagnano ad Aliano e Sant’Arcangelo, da Senise agli impervi abitati di Craco e Pisticci, sono terre dure da masticare, estremamente aride e provvisorie, argillose, gommose, franose, mai in piano. Sono le cosiddette terre povere, odiate dai stessi locali, mal viste da quell’Italia del progresso, della produttività a tutti i costi. Ma queste stesse terre sono anche quelle ricche di spirito, dove ogni giorno avviene un piccolo miracolo, quello della vita, dell’assaporare senza fronzoli l’essere vitale riportando come una festa, come un ballo di gala in cui tutti i giorni era il giorno del riscatto, era il girono del rispetto, era il giorno dell’accettare, della vicinanza, dell’effimero, in poche parole era il giorno! Estrema vicinanza al terreno ma anche allo spirituale, il vitale si fondeva spesso con il mortale dando a tutto un senso di sacro, di profondo. Ed i contadini di tutto ciò ne erano parte integrante, anche se non se ne rendevano conto e della vita vedevano solo le ostilità, le disgrazie, le superbie. Erano fortunati, erano più vicini a Dio di quanto lo siamo noi oggi. Ecco perché le terre, la natura, i luoghi loro circostanti erano parte di loro, se non dentro di loro, era un continuo, un’armonia dettata dal senso di appartenenza per contatto ravvicinato e non pretenzioso.


Ad Aliano di contadini ne ho incontrati molti, sicuramente la maggior parte degli abitanti del piccolo paesino Lucano, ma quasi tutti purtroppo però oggi in pensione. Anche qui quel mondo eroico e terreno animato da vanghe e zappe è improvvisamente terminato e vaste aree del circondario sono in attesa di nuove destinazioni d’uso, diciamo essere o sembrare in aspettativa. Il paesaggio però intanto è fantastico, solenne, relegato finalmente all’improduttività, salvato da cemento ed ambizioni di sviluppo, smanie di grandezza del nostro tempo, viene visto dai più con indifferenza, snobbato, visto con fastidio. Terre profondamente scavate, puntellate da infiniti pinnacoli di tutte le misure, graffiate ai bordi da artigli immaginari, in perenne instabilità ed imminente movimento o crollo, piene di colori caldi o grigiastri, piene di pieghe senza ordine e senza disciplina, nude senza l’abito verde, ricche di spaccature, crepe, tagli, aspre e malinconiche, scenografie perfette per ambientazioni da far-east, luoghi da evitare nelle ore calde ma ance all’arrivo di forti temporali; terre arse, rugose, da profondo Sud, paesaggi lunari, paesaggi quasi inospitali, che richiedono profondo silenzio e religioso avvicinamento; scenari pietrificati di ex fondali marini dove il mare, custode un tempo di queste terre, lo senti ancora, chiudi gli occhi, e sei un pesce, fluttui tra le correnti in un mare di un blu cristallino e fondali colorati di mille specie di coralli e piante marine, apri gli occhi, e ti ritrovi solo, fuggiasco, isolato, ma almeno con quel mare dentro di te, a dissetarti, ad accarezzarti. Ecco, perciò, queste terre sono delle vere e proprie opere d’arte, di quel genere naturale che la rende opera irripetibile ed irrealizzabile; osservandole pensi di vedere un enorme quadro dalle prospettive mutevoli e dal valore non quantificabile dove l’accesso al museo è aperto 24 ore su 24 ed offre anche di un’ora tramonto ed un’ora alba, tempo permettendo.



In questo splendido quadro vi è contenuto il piccolo borgo di Aliano, non altro che una continuità del paesaggio tutto da ritrovare nelle conformazioni delle case, nei volti degli abitanti e soprattutto nei loro stati d’animo. E così che nella graziosa contadina Maria ammiri la tenerezza dei suoi occhi ricalcando la quiete di questi luoghi; in Francesco detto Ciccillo, la tempra e la determinazione, trovandolo ad 85 anni ancora in campagna nonostante i problemi ad entrambe le ginocchia; nel barista la pacatezza e la mitezza; nel vecchietto bevitore la rugosità del suo viso rassomigliante ad una carta geografica del territorio, intendetemi, per me un vanto tutto da conquistare e da raggiungere; oppure infine nella diffidenza dello scopatore delle vie mattutine, un tipo tanto strano quanto eccentrico, dall’età indecifrabile, uno tanto accomunabile al becchino del paese descritto da Carlo Levi in Cristo si è fermato ad Eboli. Ecco, perché impossibile è non confrontare questa piccola comunità odierna a quella tanto ben descritta da Levi, che qui trovò una seconda casa se non la prima. I personaggi sono sempre quelli, certo, a volte riadattati nei ruoli a questa società moderna a cui sembrano quasi prestati in mancanza di personale in attesa di tornare al loro posto primordiale nell’eternità del libro o della storia. Perciò camminando per Aliano si ha la netta sensazione di camminare in un libro aperto dove il successo si mischia con il succederà grazie ad una linea guida ormai indelebile. Ed allora è forse proprio lo stesso scritto, marcato nelle vie e nei muri, stampato nella quotidianità mai con grandi novità, a reggere il grande gioco della vita, o meglio il grande spettacolo che ogni giorno va in scena; il libro è il copione, gli attori sono in carne ed ossa e chi ci passa anche solo per un giorno e lascia qualcosa di importante in loco può chiedere la ristampa con effettiva modifica della storia. Oggi forse è toccato a me, domani certamente capiterà a te.

Aliano, durante il festival La luna ed i calanchi, agosto 2015


Nessun commento:

Posta un commento