giovedì 24 dicembre 2020

Mastro Oliva, capitolo 3

 Verme

Sono un verme, oggi mi rotolavo tra terriccio e piccoli arbusti, ho trovato tra essi un uscita che forse era un entrata, ho scavalcato montagne di sassi, cumuli di pietre ed ho sempre condotto al di là la mia sporadica presenza.
Mi attorcigliavo ad ogni curva della vita, ne ho trovato giovamento, correvo dritto appena imboccata un'autostrada di verità e di sapere, avevo pochi occhi puntati, inosservato o osservato sol da chi aveva intenzioni sul mio conto.
Ad altre aspirazioni intendevo portare la mia vita, volare come una farfalla o contare come un usignolo, ma fa nulla, per questo giro di roulette mi comporterò e prenderò le sembianze di un animale strisciante, un essere da bassifondi, di quelli che si ci può poco fidare, o con cui ti puoi ubriacare quando non hai nessun amico più; sono legato al cosmo più di quel che tu puoi pensare, e tranquillo, farò io il lavoro sporco, mi tocca il fango, la pozzolana, il bagno di umiltà, le lunghe serate inerme nella solitudine, le beccate più atroci di un esistenza volitiva ...


 Fiore

Ho giocato a sorridere al Mondo, il mio dolore l'ho trasmutato come meglio non potevo, ero fiore, ed ero fiero, di esserlo, incorporarlo, donarlo, piantumarlo.
Ma in verità era solo il solletico a giocarmi un brutto scherzo, quello prodotto dalle mie amiche api, zampette che mi premevano, e mi succhiavano, a loro rispondevo gioviale, forse perchè sol immobile potevo stare, solo col naso rivolto sempre all'insù potevo mostrarmi.
Ma vorrei essere ricordata anche per altro, per i miei buoni sentimenti, per il mio attento interessamento, per le preghiere, le esortazioni, i languidi pianti e le susseguenti fragilità.
Non ne nascondo nessuna di esse, ma risplendo ed intono un coro di lieta gioia, con aria un po' stupidina, un po' giovinetta che non sono, amo quel che è, un cielo azzurro azzurro, una giornata splendente raggiante, lo scrosciare del matto ruscello, la rugiada, la calma apparente, la calura, i tramonti e le albe, il rinfresco serale, e la linfa vitale ...


 Filo d'erba

Mi vedete qui in basso, più a terra che non si può, sottostante, e sottostato, ma io non lo sono, io sono di origine nobile, dovete sapere che la mia famiglia possedeva un regno, con un re ed una regina, un ambasciatore ed un maggiordomo e pure una reggia, un castello, una città tutt'intorno.
Ora sono un semplice filo d'erba, vengo brucato dalla mattina alla sera, vengo scosso dalle brezze mattutine, vengo continuamente ferito dai maldestri giardinieri da strapazzo ... per favore, glielo dite voi stessi che io preferisco avere e ci tengo alla mia folta, riccioluta, immensa chioma?!?
Sì, esatto, proprio la mia chioma, il ciuffo, la cresta, sbarazzina com'era, impertinente e selvaggia, e svolazzante, era quella la mia unica corona, il mio vessillo che mi dava lustro, mi ergeva come un leader, un capo indomito, e svettavo, sovrastavo, sì che sovrano ero, su quei piccoli, irrisori esseri tali come formiche, lombrichi, scarabei, termiti e coccinelle ... tranne poi, ahimè, quando arrivò il malaugurato giardiniere ... ahimè ...


 Lumaca

Ho strisciato in lungo ed in largo, ho sgobbato di brutto, sudato le famigerate sette camice, ed anche più, mi sono costretto, a volte umiliato, sobbarcato ed incurvato troppo a lungo ... perchè l'ho fatto? Ho mica figli da mantenere? O una patria da difendere? Forse è qualcosa che ha a che fare con l'orgoglio o con il controllo, oppure semplice ambizione, assicurarsi un futuro, una posizione sociale, la pietà del prossimo, del mio compitino svolto bene e potrei dirne ancora molte ...
Il punto è che sono passati anni e lumaca sono rimasto, non altro, non altre evoluzioni, divenire, o salti di classe, di specie, di carriera o di considerazione. Ed ora per di più vivo nell'ininterrotto timore, meglio dire angoscia, del rimanerne schiacciato, avvertire sempre lì sopra il mio capo la presenza di un piede pronto a spiaccicarmi, ridurmi a poltiglia, annientarmi. Che lo faccia pure, se ne ha il coraggio, sono stufo, sono stanco del sembrare, voglio solo vivere nel mio assurdo, nel mio lento, scivoloso, soffuso peregrinar ...


 Zolla di terra

Sono stato terra, sono stato tante cose nella vita, ma ora sono tornato al mio stato primordiale, poche chiacchiere, pochi cavilli, solo nervo, solo tenacia, humus, desiderio.
Ho reso fertili le vostre giornate, unendomi ad uno spirito di creazione, come quando ero farina per il vostro pane, acqua per i vostri mulini, e quante altre imprese ho portato a termine!?! Quanto vigore ci ho messo! Quante immaginazione per creare l'impossibile, l'impensato, io, spirito di principio, di annunciazione, di alta rarefazione.
Voglio essere fiero di me, ma in effetti già lo sono, voglio continuare a servire la mia identità, ma come non posso stare ancora sulla breccia?!? L mia stessa sostanza è un inno al divenire, al creato, alla genesi, la bontà del vissuto e dell'immediato.
Perciò amatemi, aiutatemi, ed io semplicemente vi amerò.



A queste piccole scene di vita quotidiana Mastro Oliva assisteva con metabolica solerzia, ne prestava massima attenzione, ne attingeva per i suoi intriganti pensieri, e filosofie, che a volte poi in modo fascinoso esponeva presso il baretto di paese, nelle lunghe sere di inverni pensierosi e mai noiosi.
Tutti lo ascoltavano con gran stupore, tutti lo invocavano e lo acclamavano, gli davano merito, gli offrivano da bere e poi gran baldoria, brindisi e festeggiamenti, nella gran opportunità che il freddo invernale porgeva, quello di stare insieme, stretti nel calore, di un camino, di un inframezzato ascolto, nel salutare la fine di un nuovo giorno, non pensando alla fatica, non pensando al mondo fuori.
Mastro Oliva tornando poi a casa a tarda sera, brillo com'era, effervescente di sua natura, ondeggiante di andamento, gioioso sul momento, alzava lo sguardo, verso una, sue, tre stelle e più, gli inviava baci, un dolce pensiero verso il suo astro preferito, ricordando con ciò ogni volta di essere un romantico perso nel bel mezzo di una romantica campagna.


sabato 12 dicembre 2020

Mastro Oliva, capitolo 2

Mastro Oliva era uno stoico, Mastro Oliva era uno stacanovista, Mastro Oliva era un innamorato perso dei suoi luoghi, delle sue tradizioni, della sua operosità. Di fatti poteva essere il tempo bello o brutto, una intensa giornata ventosa, con un cielo chiuso, annuvolato, grigio o temporalesco, ed un mezzodì messosi a pioggia o ancor peggio a neve, e poi come alcuni giorni un risveglio nelle brume, pendii avvolti dalle nebbie, foschi paesaggi, ecco, da tutto ciò solo la sua figura emergeva nell'oltre, si stagliava spesso solitaria tra quelle fronde, quei solidi giacigli ombrosi, benevoli giardini fioriti, muovendosi con pregiata cautela, di sintonia con l'ovattata ambientazione di profonda pacificazione, di spessa distensione.

E la sua presenza, da ottemperare, come il timbrare un cartellino o meglio occupare quel banco, al primo posto, per essere ben visto, ben definito, ed infondere con ciò un coraggio o una viva resistenza, una prima linea da difendere, un caposaldo, un ergersi; di ciò la domanda correva sulla bocca di tutti; per chi faceva tutto ciò?!? Era solo orgoglio o non saper che altro fare?!?

Bene, dovete sapere, che anche suo padre di nome, o meglio di soprannome, era riconosciuto da tutti come Mastro Oliva, ed al tal pari lo era suo nonno, e di conseguenza per quel che se ne sapeva lo doveva essere ugual nominato ogni suo antecedente, suo avo, un suo di fatto precettore, ed ovviamente biblico modello. Perciò anche la sua discendenza, iniziando da suo figlio, un giorno avrebbe preso la sua stessa identifica o così lo di sperava.

Comunque oltre al nome, ciò che accomunava ognuno di essi di epoche così sfalsate, meno o più fortunate, era il loro vivo amore verso quelle piante, quel verde di pubblica visione, passandosi a testimone una docile fiammella che covava oltre ogni tempo e da tener sempre in auge.

Con ciò potremmo dire che il loro era un viaggiare nel tempo, o anche fermare il tempo, poichè mantenevano immacolata una stessa visione, una stessa dedizione, un continuum che a quanto pare nessuno era riuscito a fermare, ne le guerre, ne le invasioni, ne le alluvioni, ne i governi e neppure i luccicanti richiami innovativi di nuove occupazioni, nuove economie, a braccetto con lo sfavillio accecante del benessere, e del lusso mondano.

Anzi, qualche studioso o saggio locale riteneva essi stessi un portafortuna, al pari di una sorta di sciamano, o di operatore del buon vivere, che ogni qual volta le nuvole coprivano il sole, era loro compito riportare presto la luce, e la loro opera era un'arte propiziatoria, una preghiera di sacro cuore, un dialogo di vivo animo con la terra, con ciò che ci avrebbe presto riservato, aggiunto o tolto, arricchito o impoverito, cessato o ricreato.

Mastro Oliva perciò come un testimonial, un intermezzo, un custode, colui che tiene duro in tempi duri, e riporta il fiore alla fine di ogni essenziale inverno, un benefattore imparziale, un solitario garante allo svolgimento della vita. Ed ogni tuo simile posto in egual distanza in ogni ameno territorio, ed ogni territorio posizionato in egual circoscrizione intorno alla tua vivace pulsione appartenente solo ad un Mastro Oliva, fiero protagonista di quel romanticismo contadino.








giovedì 3 dicembre 2020

Mastro Oliva, capitolo 1

Lo conoscete a Mastro Oliva?!? 

Certo! Mastro Oliva, amico di tutti, o tutti si ritenevano suo amico, benvoluto in paese, ma viveva in campagna, fabbricatore di mille idee ma nessuno ascoltava i suoi consigli.

Mastro Oliva, con sempre il suo bel cappello o capello a punta, il suo giocoso carattere, e la sua personalissima collezione di scale, di tutte le grandezze, di tutte le misure, a che li servivano mai? Di notte nessuno lo sapeva, qualcuno dice che l'aveva intravisto mentre inghirlandava alberi circostanti di luci e lucine, di quelle intermittenti natalizie, abbellimenti e decorazioni, stelline e scintillamenti; di giorno, bene, era un campagnolo, un mastro, uso e comune per andar a baciar le sue piante, ed i suoi nobilissimi frutti.

Baciare, perchè lui amava le piante, le sue amate piante che aveva visto crescere, ingrandirsi, proliferare. Il Mastro e l'Oliva, insieme erano un corpo unico, si riconcorrevano, si attendevano, c'era del magnetismo, della candida fascinazione, del barlume di ossessione. A tal punto che il nostro caro Mastro sognava olive di notte, ma anche di giorno, le scorgeva a pranzo sedute presso la locanda, e recapitargli la posta ogni santo fine settimana, ne aveva vista una anche cavalcare il suo bianco cane, ed un'altra stesa sulla penzolante amaca a prender i tenui autunnali raggi solari.

Gli poteva sembrar strano tutto ciò? Ma no, per lui tra olive ed umani c'era poca differenza, anzi le olive erano state sempre tanto gentili con lui mentre degli umani c'era sempre poco da fidarsi, le Olive ammiravano Mastro, gli umani inquietavano Mastro, le Olive giocavano a diventare Mastro, e Mastro era orgoglioso delle sue Olive.

E Mastro ed Oliva si scambiavano, l'uno diventava così l'altro, scambiando ruolo in modo che umano e natura si confondevano, si annodavano, coabitavano, uno diventava improvvisamente più grande dell'altro, o più ciotto, o più affamato, meno scocchiato, più o meno indaffarato, smemorato, spaesato, squattrinato.

Animosamente un giorno li videro rincorrersi, ed il giorno dopo, pure; fine autunno rappresentavano momenti di gran fatica per Mastro, e difatti dopo una settimana la corsa era ancora nel vivo, e la fatica, la stanchezza come il mal di schiena aumentava di giorno in giorno; ci si chiedeva allora come mai un amore si poteva svolger con tanta sofferenza??? Avevan forse bisticciato? ... Ma chè, erano solo delle prove di affetto, prove semplici prove, diventate ancor più intense in quel azzuffarsi, quel movimentarsi perchè Mastro ed Oliva sapevano che presto si sarebbero osservati a distanza, nel sol ricordo di quell'ubriacatura stagionale, nella pazienza che i tempi nuovamente maturassero, nell'attesa da romanticismo contadino ...